Di norma a pranzo eravamo minimo quindici, tra amici cazzoni di mio fratello con le Harley Davidson, operai di mio padre e amici vari.
La povera mamma ha imparato bene la lezione visto che ora ha un ristorante immerso nelle nostre vallate che quando è vuoto ci sono cento persone a mangiare e quando è pieno, beh, quando è pieno non si può nemmeno parcheggiare.
Il mio favoloso nonno, che ora ha intrapreso il Grande Viaggio da ormai dieci anni, chissà dove è già arrivato, magari ai confini dell’universo e da lassù ci guarda e sorride, dicevo, il mio stupendo nonnino, stava a capo tavola a guardare quella moltitudine famelica che divorava cibi e forse pensava a quando lui non aveva da mangiare che polenta e latte.
All’altro capo della tavola, tutt’altro che silenzioso e accondiscendente, stava seduto mio padre che per uno scherzo del destino era un anno più vecchio del nonno e si era sposato la mamma di trenta anni più giovane di lui.
Lui è nato ottantaquattro anni fa in una cascina sperduta tra prati e boschi, una casa che come pavimento aveva la terra e come tetto la paglia, una stufa a legna ed i muri di pietra proteggevano dal freddo lui e i suoi tredici fratelli. Tempi duri. Tempi in cui a quattro anni ti mandavano a fare il servo nelle famiglie un po più benestanti, come quella del mugnaio.
E così accadde a mio padre.
Da servo a pastore. Da quattro ad otto anni dormiva con i topi nel granaio, da otto a sedici nei boschi con le pecore e le mucche e poi arrivò il primo treno e lui ci saltò su, con un carico di sacchi di farina andò sulla costa, lo barattò con olio di oliva che poi andò a vendere a Genova. Cominciò così e nel giro di dieci anni si stabilì a Genova, fece il piazzista vendendo uova e formaggi quasi porta a porta e poi aprì una fabbrica di patatine fritte e in pochi anni divenne ricchissimo, auto di lusso e ville antiche sui colli genovesi, figli e moglie del posto e una vita piena e di successo.”
Da Genova si trasferì qui a Pontinvrea, comprò poco alla volta due montagne che si fronteggiano ed in quarant’anni costruì due villaggi composti da decine e decine di ville immerse nel bosco, strade, sorgenti ed acquedotti, costruì la “Sua Città”, dove vive tutt’ora lui e tutta la famiglia. Seicentomila metri quadrati di valli, boschi e prati dove sono cresciuto facendo tutto ciò che mi pareva.
Addirittura Attilio, mio padre, o meglio Attila, come ora lo chiamiamo tutti, fece costruire la sua cappella personale per Sant’Antonio, suo protettore sin da piccino, cappella che regalò poi a Papa Woytila che la accettò di buon grado.
Vent’anni fa scoprì anche di avere dei poteri che qualcuno chiama “paranormali”.
Oggi mio padre è rabdomante e pranoterapeuta. Trova l’acqua per chi ne ha bisogno e davanti a casa sua c’è la fila di persone che vengono a farsi curare, e lui cosa ha deciso di fare? Lo fa gratis, lo fa gratis perchè ha deciso che è un dono di Sant’Antonio e quindi è per tutti.